In unico discorso il figurativo e l’astratto

Diviene sempre più difficile argomentare ed esprimere una spassionata opinione sull’arte, soprattutto quando per evitare prevedibili diciture ci si inoltra nel processo perverso di affermare che tutto è stato fatto o visto. Allora succede di rimanere un poco attoniti e confusi dinanzi ad una pittura che da una parte recupera il discorso figurativo e dall’altra lo dipana in un ordito fantasioso e capzioso.

E il caso della pittura di Tonina Garofalo che della figuratività narrata per simboli ha fatto il suo linguaggio espressivo.

La sorpresa davanti le sue opere non è quella di riuscire a individuare delle forme più o meno conosciute, quanto di “ritrovare” casualmente dei particolari isolati densi di significati profondi. Per un momento si ha la sensazione di essere dentro una favola misteriosa, dove vivono fate e lingue di fuoco, streghe e giovani fanciulle. Ma è evidente che le immagini invece di seguire l’andamento disteso del racconto, tendono a generarsi concitate dalla stessa materia pittorica. L’animazione delle forme è talmente tumultuosa da surriscaldare l’intera superficie dipinta. La commistione di tecniche e di modi espressivi è così riuscita da farne una pittura più che attuale.

Sia che si tratti di forme piene o di segni graffiati, il risultato è quello di rivelarsi come presenze visivamente concrete.

Il fatto di recuperare un linguaggio narrativo non significa del resto ritornare all’idea tradizionale del quadro. Se è vero che nelle sue figure riposano ancora delle emozioni reali, non bisogna dimenticare che le stesse vivono ormai in una dimensione trasfigurata: volti dalla geometria misurata, guizzi di colore che rutilano onde e arabeschi.

Ci piace il suo modo di illuminare la superficie, ci piace il gioco raffinato tra le ampie distese di colore e le linee nette.

Negli anni il linguaggio di Tonina Garofalo si è indubbiamente evoluto, la carica emotiva dei primi lavori è andata assottigliandosi per indossare una veste più elegante e matura (e parlo della recente e bella serie delle Stagioni e degli Oroscopi). I riccioli nervosi che gremivano le superfici dei suoi quadri, nel tempo si sono sciolti per diventare delle fluide onde. E gli impasti cromatici sono andati via via perdendo quella compattezza intensa e drammatica. Si può dire che senza troppo contraddire le vecchie impostazioni cromatiche e spaziali, l’artista è arrivata a riunire in un unico discorso il figurativo e l’astratto, la curva con la linea, il sottile grafismo lineare (degli oggetti) con il colorismo acceso (delle fasce geometriche), l’impaginazione piana e ordinata con i particolari preziosi. Quello che prima era tumulto gridato e sensuoso adesso è palpitazione vibrante. L’energia emotiva ed emozionante che era racchiusa nei primi quadri si è come liberata per irradiarsi sugli eventi spaziali; sulle figure ferme e sulle pause silenziose.

Tuttavia l’istintiva volontà a coinvolgere lo spettatore alla dinamica dell’opera è rimasta la stessa. Attraverso la scelta delle tinte calde e talvolta brizzolate, dell’impianto disegnativo sciolto e al tempo stesso controllato, l’artista è andata di volta in volta misurando le proprie capacità comunicative.

Tutto continua a svolgersi in superficie. Le forme e colori affiorano dal fondo, si cristallizzano per poi offrirsi protesi alla nostra visione; e questo, senza mai cadere nella facilità del mestiere. Una qualità che noi, oggi, sappiamo assai rara.

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